Il Paese

Statuto di Moggiona
e documenti annessi
(fine 1268-inizi 1269)*.
  
Pierluigi Licciardello & Gian Paolo G. Scharf

articolo apparso su Archivio Storico Italiano,
Anno CLXV (2007), N. 611 - Disp. I (gennaio-marzo)

(Le note si apriranno in un'apposita finestra)


4. La produzione statutaria dell'aretino fra Due e Trecento

   Se rapportata alla situazione dell’intera Italia centro-settentrionale – e non semplicemente al caso eccezionale della Toscana o dell’Umbria – la produzione statutaria nell’aretino costituisce un caso di studio di un certo rilievo. Le otto carte conservate per il Duecento – a cui va aggiunto il complesso caso del corpus statutario del Trivio – riguardanti il territorio, risaltano ancora di più in confronto alla grave lacuna che colpisce la città, priva proprio di quello statuto urbano che dovette costituire se non il modello comunque un punto di riferimento per l’esuberante produzione rurale. Non che non esistesse naturalmente uno statuto cittadino, di cui anzi ci sono conservati resti di almeno tre diverse compilazioni di questo secolo e dei primi anni successivi; ma le vicende della conservazione di queste statuizioni – come si sa in buona misura dipendenti da fattori imprevedibili – rimandano a una costante riscrittura e rielaborazione del testo statutario urbano, comprensibile tanto tenendo presenti le movimentate vicende politiche del secolo XIII, quanto la costante presenza di giuristi ed esperti del diritto in una città che albergava una delle prime università medievali (il cui statuto si è tuttavia conservato) [49].
   La tipologia rurale è indubbiamente diversa, innanzitutto per la fonte del diritto che è quasi esclusivamente quella signorile, in secondo luogo per la sua collocazione nella categoria degli statuti-monumento, in genere carte singole dalla lunga vigenza che attestano la formalizzazione dei rapporti interni alla signoria in forme abbastanza elastiche da sopravvivere ai secoli. Naturalmente la situazione non è così semplice e generalizzabile, poiché ogni carta costituisce un caso a sé. Anghiari, per esempio, oltre a conservare lo statuto rurale più antico della provincia – se si accetta la proposta di décalage cronologico di quello della Valdambra proposto da Bicchierai – e certo uno dei meglio strutturati, dà anche conto in tale carta della ampia stratificazione sociale del castello, probabilmente uno dei più grandi del contado aretino, insieme con Castiglione Aretino [50].
   Quello demografico – senza per questo voler fare del determinismo – è un fattore di rilievo per più rispetti: una società più evoluta non solo era normalmente più forte di fronte al signore, ma destava molto di più la cupidigia della fiscalità urbana, che diventava quindi la fessura da cui far passare un più interessato controllo della città. Soci dimostra una stratificazione relativamente simile nella documentazione – ma meno nello statuto, pervenutoci in due redazioni poco distanti cronologicamente fra loro, come quello di Anghiari – ma riporta scarse tracce sia di una penetrazione urbana, sia di una intromissione di domini laici, che pure non fu assente. Più conflittuale il caso di Castiglion Fatalbecco, sorta di condominio con i vicini signori di Montauto, mentre lo statuto di Alberoro quasi non fa cenno della pesante intromissione urbana, che aveva portato a uno scontro aperto fra città e capitolo cattedrale negli anni trenta del Duecento. Ciò che queste carte suggeriscono, soprattutto nel confronto con la restante documentazione, è che lo statuto presentasse un quadro volontariamente irenico e normalizzato della signoria, come si può riscontrare anche nel caso della Valdambra, che ci ha tramandato l’unico testo di una signoria laica. È questo un problema in parte comune a tutte le fonti legislative, che costituiscono, come è noto, più un ritratto ideale che reale della società a cui si riferiscono [51].
   Tenendo presenti queste osservazioni, anche con i dovuti correttivi da esse suggeriti, non si può non notare quanto il testo di Moggiona costituisca un po’ il caso limite di questa piccola carrellata. Il ritratto della signoria camaldolese, se dipendesse esclusivamente dallo statuto che analizzeremo a breve, sarebbe ancor più ideale di quello offerto dagli altri testi, e ciò si può almeno in parte addebitare alla particolare cura che l’eremo risevava al castello più vicino alla sua sede, una sorta di ridotto della signoria, che doveva forse fungere da specchio per l’intero complesso del dominatus. Ma per provare tale ipotesi bisognerebbe basarsi su dati più certi, come potrebbe essere l’eventualità di una voluta esemplarità del testo di Moggiona, a formare quelle famiglie di statuti che sono estranee all’esperienza italiana o quasi, mentre sono, per esempio, la norma fra i fueros iberici. Senza poter dunque risolvere il problema, crediamo con questo di aver accennato a un argomento di notevole interesse, che potrebbe trovare conferme in ricerche più puntuali [52].




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