Il Paese

Statuto di Moggiona
e documenti annessi
(fine 1268-inizi 1269)*.
  
Pierluigi Licciardello & Gian Paolo G. Scharf

articolo apparso su Archivio Storico Italiano,
Anno CLXV (2007), N. 611 - Disp. I (gennaio-marzo)

(Le note si apriranno in un'apposita finestra)


3. La signoria rurale nell'aretino

   Il Duecento fu sicuramente un secolo assai importante – e non solo nell’aretino – tanto per il consolidamento di molte signorie rurali, quanto per i progressi urbani nel controllo del contado. Sul primo fronte il processo di incastellamento già assai avanzato, tale da rendere più o meno stabile il quadro dell’habitat rurale fino alle soglie dell’età contemporanea, è un fattore da tenere sempre presente per comprendere la lunga tenuta delle signorie più solide. D’altro canto, soprattutto per i domini ecclesiastici, la dialettica del potere a due – fra signori e dominati per intenderci – in questo secolo lasciò il posto a situazioni più complesse, in cui tanto le intromissioni della città e di signori laici, quanto le velleità autonomistiche delle singole comunità, spesso arrivate a un alto grado di stratificazione sociale, ponevano i signori di fronte a sfide ardue che non tutti erano in grado di risolvere a proprio favore. La tranquilla gestione del dominatus era d’altra parte messa in crisi anche da altri fattori, primo fra tutti l’importanza assunta dall’economia monetaria nella gestione delle signorie: necessità amministrative, contributi all’imperatore, al pontefice, al vescovo o alla città, resero indispensabile per molti enti ecclesiastici ripensare le proprie forme di sfruttamento delle risorse, in modo da renderle sempre più monetizzabili. La sfida ebbe risultati diversi, caso per caso, e gli enti più deboli, come nell’aretino la badia di S. Fiora, finirono per invischiarsi nella spirale dei debiti, che avrebbero letteralmente divorato buona parte degli antichi patrimoni  [45].
   L’eremo di Camaldoli si trovava indubbiamente in una posizione privilegiata: non solo il patrimonio era concentrato in una zona dove le mire della città erano minori e i possibili concorrenti laici erano solo i Guidi e gli Ubertini, ma la tradizionale indipendenza dell’ente, formalizzata in quegli anni nell’esenzione dalla giurisdizione dell’ordinario diocesano [46], lo metteva al riparo da molte necessità finanziarie – anche se le contestazioni e le cause non mancarono – e dalle pretese dei sempre rapaci funzionari imperiali [47].
   Per tale motivo all’eremo fu relativamente facile procedere a una riorganizzazione della signoria, seguendo, almeno in parte, l’esempio del capitolo cattedrale, precursore su questa strada. I punti chiave di tale operazione erano la chiarificazione degli obblighi dei soggetti (e questo fatto è attestato dall’alto numero di statuti rurali conservatici), e la rifondazione delle basi economiche della signoria attorno al possesso fondiario e all’accorto uso dello strumento feudale. Tutto ciò, che si accompagnava a una netta svalutazione delle capacità fiscali della signoria, fu solo in parte seguito dai Camaldolesi, sia per la resistenza dei monaci all’impiego del feudo nella ridefinizione dei rapporti interni alla signoria, sia per la solidità della capacità impositiva dell’eremo, meno minacciato in questo dalla crescente fiscalità urbana, a differenza di altri signori. Fu così che all’eremo riuscì, contando in parte anche sull’appoggio comunale, di mantenere il suo dominatus a lungo fino a traghettare larghe zone dell’aretino direttamente dall’esperienza signorile ai nuovi stati regionali, a patto di non sclerotizzare entro quadri immobili, che probabilmente esistono più nella mente degli storici che nella realtà, dinamiche di potere alternative a quelle comunali [48].
  



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